Ci sono pagine di storia che non passano. A San Giovanni In Fiore, "Capitale della Sila" nota per essere nata intorno all'Abbazia florense fulcro di quell'ordine giocaminita che diffuse in tutta Europa il pensiero di Gioacchino da Fiore, probabilmente il più noto fra i filosofi calabresi, sono passati 100 anni da una truce pagina di storia in cui il Fascismo, da pochi anni al potere, dimostrò tutta la propria violenza. A causa della tragica situazione economica, una rivolta spontanea si registrò nella cittadina in uno dei luoghi più evocativi del centro storico: il sagrato dell’Abbazia florense. Seguì l'arrivo delle Milizie fasciste che spararono sulla folla, uccidendo 5 persone. Occorre ricordare che a San Giovanni in Fiore il Partito Fascista non era riuscito ad attecchire in maniera vigorosa come altrove anche in Calabria e la città era diventata ben presto punto di riferimento dei Socialisti e dei Comunisti della provincie di Cosenza e Crotone. Il Partito Fascista, attraverso la sezione provinciale, nel timore di poter vedere ricostruita la "roccaforte socialista", si apprestò ad operare opportune contromosse. Figure di primo piano della sezione provinciale del Partito Fascista furono inviata nel febbraio del 1925 nella cittadina silana per affrontare l'annosa questione delle "cooperative contadine" che rischiavano di sciogliersi, comportando gravi problemi di ordine pubblico.
Secondo alcuni storici, la maggioranza si dimostrò molto debole in seno al consiglio comunale, disorientata ed incapace sul da farsi, costringendo il sindaco Romei a dimettersi dal proprio incarico. Venne nominato un commissario governativo, un certo Giovanni Rossi che si vide dinanzi la difficile situazione finanziaria delle casse comunali e propose l'istituzione di nuove tariffe daziarie sulla base che " il mezzo più adatto e più tollerato dalla popolazione è il dazio consumo che non ha avuto finora alcuna applicazione in questo comune" spostando in questo modo, come molte volte è accaduto, il carico fiscale dal ceto proprietario alle classi popolari, soprattutto ai contadini che già non vivevano un periodo florido, anzi, gli scontri sui possedimenti di terra e il diritto di poter coltivarne un pezzo erano fatti all'ordine del giorno. Sul sagrato della chiesa si erano raccolti circa 2000 Sangiovannesi, donne donne comprese; tutti uniti dalla consapevolezza che, come ha scritto Franco Laratta, “fame e miseria regnavano in ogni quartiere”. I Militari non avevano ricevuto ordini precisi e non sapevano cosa fare, come affrontare quella massa di persone disperate e affamate. Del tutto impreparati, alcuni di loro cominciarono a sparare, altri reagirono con durezza nella speranza di contenere la folla. Ma in realtà quegli spari provocarono il caos. Fra i morti pure una ragazza incinta. Scoppiò il panico. San Giovanni in Fiore rimase sconvolta. La rabbia non si placava. Seguirono giorni terribili, durante i quali il Regime fascista si dimostrò crudele e violento anche in queste periferiche lande silane. Sempre per San Giovanni in Fiore, ricordava nel proprio saggio sulla storia del fascismo in Calabria il parlamentare Francesco Spezzano che “fra il 1919 ed il 1922 i contadini diretti da Stano Carbone, da Fausto Gullo e Pietro Mancini avevano occupato le terre feudali di San Bernardo, Germano e Buonolegno preoccupando il Prefetto che scriveva “si è andato diffondendo nella coscienza dei contadini il motto ‘la terra ai contadini’. Tale motto trova grande considerazione e credito, perché affermano che questa era stata fatta loro al fronte. Ho disposto per ogni evenienza che quella stazione dei Carabinieri fosse rinforzata e perché in questo comune sia nuovamente istituita la delegazione di PS". A ravvivare la memoria di quei tragici giorni, una lapide è stata posta una lapide che ne ha eternato la memoria, conservando anche i nomi delle vittime: Filomena Marra di 27 anni, contadina; Barbara Veltri di 23 anni, contadina; Antonia Siletta, di 68 anni, contadina; Marianna Mascaro 73 anni, contadina; Saverio Basile 33 anni, fabbro: tutti figli di quel popolo che, oggi come ieri, subiscono sulla propria pelle più degli altri le prepotenze dei regimi di ogni tempo e colore.
Francesco Rizza
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