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Martina Guzzi poteva salvarsi. Secondo i consulenti della procura, la ventiquattrenne è stata uccisa dall'aibag difettoso.


 È la rabbia il sentimento prevalente a Petilia Policastro, nella famiglia e fra i tanti amici di Martina Guzzi la ventiquattrenne deceduta in un incidente stradale lo scorso 28 maggio.  Al di là della giovane vita spezzata, arrivano i primi dati sull'indagine relativa alla sua morte e per dei Consulenti della Procura di Catanzaro,  dove Martina viveva e lavorava, Martina sarebbe "la prima vittima in Italia degli airbag difettosi"  della Takata, casa automobilistica che aveva costruito l'autvettura su cui Martina viaggava. Dalla relazione dei consulenti del Pm, infatti, si apprende che "si esclude altra lesività traumatica riconducibile all’incidente in cui è rimasta coinvolta la signora Guzzi Martina. Dal punto di vista medico legale - si aggiunge-  si può concludere che la sua morte sia in nesso di causalità diretta con un malfunzionamento del sistema di detonazione dell’airbag che, a seguito dell’urto, proiettava ad alta energia cinetica un corpo metallico con modalità di urto e lesività assimilabili a ferita d’arma da fuoco". La notizia della relazione,  nelle ultime ore, sta circolando non solo sui socal, ma anche sui portali di giornali nazionali come il "Corriere della Sera". A due mesi dalla morte della studentessa di Lettere,  ormai vicinissima alla laurea caratterizzata da una particolare solarità e dai numerosi sogni, i consulenti la dottoressa Isabella Aquila, direttrice della Scuola di specializzazione di Medicina Lertgale e l’ingegner Roberto Arcadia, dell’Ufficio della Motorizzazione civile ritengono  che Martina non sia stata uccisa dallo schianto con l’altra auto, ma che sia stata,  piuttosto, vittima dello scandalo degli airbag mortali. Stando così le cose, a  15 anni dai primi incidenti, dopo campagne di richiamo che hanno allarmato milioni di automobilisti, dopo più di 400 feriti e 27 morti solo negli Stati Uniti, il caso di Martina apre il fronte dei decessi anche in Italia dove, secondo fonti non confermate ufficialmente, si conterebbero finora anche una quindicina di feriti.  Come si ricorderà,  al momento dell'incidente, Martina  guidava  una Citroen C3 che apparteneva al suo ragazzo il giorno in cui è morta. Lui aveva ricevuto una lettera di richiamo e aveva scritto alla casa automobilistica pochi giorni prima dell’incidente, dicendosi disponibile alle verifiche e all’eventuale cambio di airbag. "Ma da loro nessuna risposta" afferma Andrea Rubini, che con la sua "Gesigroup" tutela i diritti della famiglia di Martina. La Takata costruiva airbag a prezzi competitivi, in moltissimi l’hanno scelta e allo scoppiare dello scandalo tutti hanno avviato campagne di ritiro. Alla fatalità si aggiunge questa notizia che la rende ancora più pesante, alla luce del fatto che gli stessi airbag erano stati montati, per il loro prezzo modico su autovetture di marche rinomate come Honda, Volkswagen, Audi, Stellantis, Citroen, Skoda, Bmw, Ds, Toyota e la Citroen che, fra il 2009 ed il 2019 ne avrebbe inserito 600 mila su altrettante sue C3 e DS3.

Francesco Rizza 



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