Tre giovani si sono suicidati negli ultimi mesi a Petilia Policastro. Mons, Alberto Torriani, Arcivescovo di Crotone e Santa Severina, rompe il silenzio con una lettera alla popolazione.
Cosa sta succedendo a Petilia Policastro? In una società sempre più sfilanciata dove nonostante l'impegno delle Associazioni culturali e di volontariato che si impegnano spesso con sacrifici anche economici, negli ultimi mesi si sono suicidati tre giovani, l'ultimo un immigrato che nella Cittadina dell'Alto Marchesato Crotonese aveva trovato lavoro, l'opportunità di inserirsi e di crearsi un nuova vita. Se il variegato mondo dell'immigrazione, costituito da numerose badanti provenienti dall'Est europeo ed operai provenienti dal Marocco vivono da sempre la propria solitudine in cui l'unica opportunità per fraterizzare ed uscire dal proprio isolamento è stato un corso gratuito di lingua italiana a cura della Prociv Arci e dalla sezione cittadina dell'Anpi i tre giovani suicidi, con le storie di tristezza, solitudine e disagio sottintese nella loro estrema decisione attestano una difficoltà nel vivere che, allo stato attuale delle cose, non può più lasciare inosservati.
A rompere il muro del silenzio in occasione della festività del Corpus Domini è stato mons. Alberto Torriani da alcuni mesi Arcivescovo della Arcidiocesi di Crotone e Santa Severina che, attraverso i parroci, ha voluto rivolgere un appello di paterna vicinanza spirituale alla popolazione petilina. "Tre giovani vite - ha scritto mons. Torriani - si sono spente nel silenzio drammatico del suicidio, lasciando dietro di loro domande senza risposta, dolore, smarrimento. Nessuna parola può davvero colmare il vuoto, ma è proprio il silenzio di queste ferite che ci interroga e ci chiede di non rimanere indifferenti. Quanto è accaduto non può lasciarci come prima: è un segnale forte, che parla di un disagio profondo, di un malessere che chiede di essere ascoltato, curato, guarito. Non basta dire che “è una tragedia”: occorre domandarsi insieme quale deserto ha generato tanto smarrimento? Quale sete di senso è rimasta inascoltata? Proprio nell’omelia del Corpus Domini, ho parlato dei “deserti esistenziali” che abitano i nostri paesi: deserti di relazioni, di futuro, di ascolto, deserti in cui spesso si perdono i più fragili. Questa tragedia ci chiede di tornare a essere comunità. Non per giudicare o commentare, ma per costruire spazi di comunione vera, in cui ogni persona possa sentirsi riconosciuta, ascoltata, custodita. C’è un pane da spezzare che non è solo quello della Messa: è quello del tempo condiviso, della vicinanza, dell’ascolto, della fraternità concreta. È quello dell’impegno a costruire comunione e ad organizzare la speranza! So che la Comunità ecclesiale tutta non ha fatto mancare la sua presenza e il suo cuore, so che ha provato a stringersi attorno alle famiglie, nel silenzio e nella preghiera. Ma ora serve qualcosa di più: un cammino comune, paziente, coraggioso, umile, per seminare una cultura della vita, del senso, della cura. Vi sono vicino".
Francesco Rizza
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