Alcune fonti storiche collegano il fenomeno del brigantaggio calabrese ad una rivolta avvenuta nel IV secolo avanti Cristo quando alcuni schiavi si ribellarono ai Lucani, trasferendosi nei boschi calabresi fra il Pollino e la Sila. Sarebbe nata proprio in questo questo modo la fiera popolazione dei Bruzi. Successivamente, in piena dominazione romana, altri Bruzi si ribellarono al potere romano e, guidati da Spartaco, si rifugiarono in Sila sulle pendici del monte Gariglione. Comunque, fra la Sila ed il medio Jonio calabrese, il brigantaggio raggiunse il proprio culmine di violenza durante il Vicereame spagnolo ed al tempo dell'occupazione napoleonica del Regno di Napoli (1806, 1819) quando, come vedremo, nacque l'attuale Pagliarelle. Successivamente all'unità d'Italia, di brigantaggio si parlò nell'intero Meridione italiano a causa di numerosi rivoltosi che non accettarono l'annessione al Regno italiano dello Stato borbonico. Tornando al tempo della dominazione spagnola, la Sila era già stata scenario di alcune rivolte popolari, particolarmente da parte di contadini. Attesta lo storico Adriano Seroni che "notizie di moti contadini si hanno nel 1512. Negli anni fra il 1559 ed il 1563, il bandito Marco Berardi di Mangone riuscì a costruire un vero e proprio esercito; assunto il nome di battaglia di "Re Marcone", concedeva privilegi e pare avesse intenzione di costruire una vera e propria repubblica nel Crotonese. Gli Spagnoli gli mandarono contro un contingente di truppe comandate dal marchese di Cerchiara: re Marcone l'affondo e lo sconfisse a Crotone. Una relazione ufficiale del 15 agosto 1563, annunciando la repressione del Cerchiara, ci dice che il bandito aveva costruito, a direzione del suo Stato, un Consiglio; che aveva nominato un segretario e che addirittura aveva posto delle taglie sulla testa dei capi e degli ufficiali spagnoli". Al tempo della Campagne napoleoniche, il 12 marzo 1806 le Truppe francesi, guidate dal generale Reyner, occuparono Cosenza e lo stesso Generale fu nominato comandante militare della città. Il 30 marzo Napoleone Bonaparte nominò il fratello Giuseppe Re di Napoli e lo stesso, arrivato a Cosenza, il 13 aprile ordinò la costruzione di una strada denominata "Delle Calabrie". Per la realizzazione di questa strada, Giuseppe Bonaparte costituì una compagnia di operai che si stanziarono nel convento dei Gesuiti che oggi ospita il Liceo classico "Bernardino Telesio". Il 1 luglio del 1806, le truppe del generale inglese Stuart sbarcarono nei pressi di Sant'Eufemia con circa 5 mila uomini ed il 4 luglio e, sostenuto da alcuni Calabresi guerregiganti, respinse nella battaglia di Maida i 6 mila soldati francesi. "La sollevazione - scrive Luigi Intrieri nel capitolo dedicato al Risorgimento del saggio "Cosenza, storia, cultura, economia" edito dalla Rubettino nel 1991 - divenne generale. Il 9 luglio Reyer lasciò Cosenza portandosi alcuni nobili filo borbonici come ostaggi. Prima di partire, tuttavia stipulò un accordo con i 'capi di messa' di Bisignano, che si impegnarono a non attaccare la città, pregò l'arcivescovo Dentice d'intervenire a favore dei militari francesi feriti, affidò donne e fanciulli alle badessa dei monasteri ed al capitano borbonico Nicola Vitari l'ordine pubblico, la cassa dell'esercito e gli incartamenti, fidandosi della sua probità; questi, infatti, li custodì a rischio della propria vita. A otto miglia da Cosenza - aggiunge Intrieri - Reyer lasciò liberi gli ostaggi, facendosi prima promettere che non avrebbero permesso il saccheggio della città, ma fu inutile: ormai incontestabili le masse dei ribelli si precipitarono in Cosenza e si diedero al saccheggio e alle vendette private. Lo stesso monsignore Dentrice si salvò a mala pena. 1 300 feriti francesi solo perché intervennero a loro difesa alcuni nobili cosentini". Sempre dalle pagine di Intrieri si apprende che al generale Messena fu ordinata la riconquista della Calabria. Per farlo, l'8 luglio, il generale bruciò Lauria ed il 14 arrivò a Cosenza. La città fu salvata dalle fiamme solo perché aveva accolto e curato i soldati francesi, ma sino al gennaio successivo furono condannate a morte almeno 344 insorti. In quei giorni, inoltre, furono bruciati vari Paesi accusati di ospitare ed aiutare i briganti e non si sottoponevano al nuovo ordine costituito. Nel Cosentino, la "capitale" della protesta fu Amantea, dove insurrezioni si registrarono fino al 1811. Per il Crotonese, nel Marchesato le truppe napoleoniche incontrarono varie difficoltà tanto che, come ha scritto Gustavo Valente, nel proprio contributo al volume "Crotone: storia, cultura, economia" edito nel 1992 dalla Rubettino, osserva che le truppe francesi dovettero occupare con violenza la Città pitagorica ed il generale Reyner avrebbe voluto abbatterne le mura di protezione. "Per fortuna - aggiunse Valente - questa mortificazione urbana fu evitata, stante l'impossibilità economica di far fronte alle spese che dovevano essere a suo carico". Fonti storiche attestano che il territorio crotonese, già dalla fine del XVIII secolo, aveva registrato la presenza delle cosiddette "Truppe di Massa" costituite da Pedacesi, Caccuresi e Sangiovannesi che infestavano le campagne, unitamente a bande provenienti da Grimaldi, Savelli e da Vico d'Aprigliano. Osserva, dunque, Gustavo Valente che "il Marchesato intero restava sotto la minaccia permanente di bande numerose e crescenti che, organizzate in luoghi anche lontani, giungevano all'improvviso nei punti più impensabili". Oltre che la fedeltà nei confronti dei Borboni, a motivare l'astio delle popolazioni calabresi contro il Governo napoleonico le tradite promesse relative alla riforma agraria che Giuseppe Napoleone tentò di mettere in campo nel Sud italiano per abolire quel feudalesimo che esisteva dall'Evo normanno, attraverso la legge n° 130 del 2 agosto 1806. Attuando la propria riforma, Giuseppe Napoleone iniziò con l'abolizione del demanio. Le terre della "Sila Regia" furono cedute ai Comuni che, a loro volta, avrebbero dovuto consegnarle a persone indigenti in porzioni di due tomoli. Oltre ad abolire il demanio, Giuseppe Napoleone avviò pure in Calabria i cosiddetti "Monti Frumentari" che avrebbero dovuto anticipare ai contadini i fondi economici necessari a migliorare le campagne loro assegnate. Sia l'attribuzione dei beni demaniali ai Comuni che i "Monti Frumentari" furono, però, boicottati dalle classi più abbienti e dalla nobiltà. Alcuni nobili, infatti, riuscirono ad unire ai propri latifondi le terre comunali che sarebbero dovute essere divise fra i contadini. Inoltre i "Monti Frumentari" non funzionano come avrebbero dovuto tanto che i contadini, per non perdere le terre che avevano comprato attraverso i prestiti finirono nelle strette maglie degli usurai. Nei Casali di Cosenza varie ribellioni si registrarono a partire dal 4 maggio del 1807 a Serra Pedace che, "more solito" fu incendiata dalle truppe francesi di Giuseppe Bonaparte. Altre proteste si registrarono a Soveria, Longobardi, Amantea e Fiumefreddo. A contrastare l'esercito napoleonico nel Cosentino il brigante "Franca Trippa", Giacomo Pisano per l'anagrafe pedacese, che già il 17 luglio del 1807 poteva contare su un esercito di circa 600 soldati, mettendo in difficoltà l'esercito francese e le truppe con le quali Nicola Gualtieri, fin dal 13 luglio, era riuscito a tenere in ordine il territorio provinciale di Cosenza. Fra la fine del 1806 e l'inizio del 1808, dopo aver attaccato Crotone, "Franca Trippa" raggiunse dapprima Scandale e San Mauro Marchesato. Il 16 gennaio 1808 arrivò a San Giovanni In Fiore dove, però, fu sconfitto dalle truppe francesi. Successivamente a queste scorrerie avvennero i "Fatti di Parenti" che nello stesso gennaio, a causa di una rivolta, fu rasa al suolo dall'esercito francese. Fu a partire da questo periodo che sorse nella montagna policastrse la frazione di Pagliarelle. In vero, una presenza anche se minore di contadini provenienti dal Cosentino nello stesso territorio vi si era registrato già dagli anni precedenti. Ad attestare e l'avvento massiccio dei Parentesi nel luogo che sarebbe diventato Pagliarelle dopo la distruzione di Parenti, alcune notizie sparse ospitate nei saggi "Crotone dal 1800 al 1808" di Armando Lucifero, "Policastro, documenti e Ricerche" di Alberto Fico edito nel 2016 dalla Publisprint che cita anche alcune informazioni tratte dagli "Annali della Calabria Citeriore" di Luigi Maria Greco. "Tal Rogliano di Parenti - osserva Armando Lucifero - fingendosi amico dei Francesi, riceverò in quel paesello una compagnia del 29° reduce da Crotone e diretta a Cosenza per farla massacrare spietatamente. Di cento e più uomini, sette soltanto scapparono, portando la nuova del misfatto a Cosenza. Reyner a quel terribile annuncio ordinava al Verdier di distruggere Parenti; ma quando egli vi giunse lo trovò abbandonato dagli abitanti; i quali avevano preso la via dei boschi intravedendo la vendetta, onde non gli restò che il porre al fuoco al fuoco e al sacco il villaggio, non lasciandovi pietra su pietra". Luigi Maria Greco, da parte sua, ritiene che "Franca Trippa" si presentò a Reyner che non lo riconobbe, offrendo ospitalità in Parenti alle Truppe francesi che, però, furono fatte ubriacare e, quindi, uccise nella notte. A prescindere dai particolari di ciò che accadde quella notte, l'avvento di profughi silano nel territorio policastrese sembra essere giustificato dal fatto che già a quei tempi le montagne policastresi alcuni beni ecclesiastici in cui i profughi di Parenti trovarono facile rifugio. Fra, questi beni, Alberto Fico cita, per esempio, la mensa arcivescovile santaseverinese che vantava nella "Difesa" policastrese dei diritti sulla località policastrese denominata "La Menta" che, nel XVIII secolo, fu al centro di alcune dispute fra l'arcivescovo Antonio Giannini ed i cosiddetti "Diaconi Selvaggi". Un altro bene ecclesiastico nei pressi di Pagliarelle riguardava i beni denominati "Santa Maria Maggiore" che, oltre a portare il nome di una delle storiche parrocchie policastresi, era anche il nome della parte vecchia di Pagliarelle. Altri terreni che, probabilmente, ospitarono profughi silani erano quelli appartenenti ad alcuni nobili dei Casali cosentini elencati in un documento relativo del censimento edito il 23 ottobre 1741 dall'allora Governatore di Policastro che, per primo, costituì un catasto in queste contrade; facendo seguito ad un decreto di re Carlo III. Da questi documenti, apprendiamo che questi signori provenivano da Catanzaro, Fuscaldo, Altilia, Aprigliano, Santo Stefano di Aprigliano e Celico: tutte cittadine dei Casali di Cosenza che, ancor prima dell'avvento dei Francesi, avevano trovato ospitalità nelle terre policastresi. Precedentemente all'avvento dei Francesi, per incamerare i beni ecclesiastici, il Governo borbonico nel 1763 con la scusa di finanziare gli interventi pubblici dopo il terremoto istituì la "Cassa Sacra". Mons. Domenico Sisca, nel proprio saggio sulla storia policastrese edito nel 1963 ricorda che la stessa istituzione "ebbe sede a Catanzaro sotto la presidenza del principe Pignatelli che incamerò le proprietà dei conventi oltre a varie rendite e benefici delle cappelle e delle congreghe, oltre che ai beni sino ad allora assegnati alle Diocesi. Per quanto riguarda Petilia, "nel 1796 - scrive Sisca - la Cassa aveva un bilancio di 40.000 ducati, ma ne doveva sborsare 231.141 alle banche". Per affrontare e gestire una situazione non certamente facile, il Marchese di Fuscaldo fu nominato "Visitatore Generale" ed a Policastro istituì la "Civica Comunaria” che, a nome dell'Università (cosi erano chiamati i Comuni) affittava a chi ne faceva richiesta alcuni appezzamenti di terra. Ancora oggi, a distanza di poco più di due secoli, numerose le affinità che è possibile riscontrare fra Pagliarelle e Parenti, a partire dal dialetto molto simile a quello dei Casali cosentini e diverso da quello di Petilia e della più vicina frazione di Camellino. "Il linguaggio dialettale di Pagliarelle - osservano Francesco ed Anna Maria Cosco in "Nella Lingua la Storia" edito da "Calabria Letteraria" nel 1999 - è caratteristico della Calabria settentrionale con inequivocabili segni sia morfologici che fonetici cosentini. È presente fra l'altro il fenomeno della sonorizzazione delle consonanti sorde post nasali 'tembo' al posto di 'tempo' 'sendo' al posto di 'sento' ed anche fenomeni di ipercorrettismo come con 'quanto' al posto di 'quando'; tutti aspetti caratteristici della Calabria cosentina". Al tempo dell'Unità d'Italia alcune notizie confermano, anche se indirettamente, una presenza parentinese a Pagliarelle. Il 13 settembre 1861, Salvatore Drammis, Comandante delle Guardie Nazionali di Sersale, fa un elenco di briganti nel territorio di Policastro. Oltre a Vincenzo Scalise e Leonardo Spinelli detto "Compa" ed i fratelli Antonio e Rosario Scalise, noto come "Panegrano", il Drammis sottolinea che questi due erano originari di Parenti. Nei giorni precedenti al verbale, Antonio Scordamaglia detto "du vrazzu" aveva insidiato Maria Stumpo, detta "Maria da Cucchiara" che era una delle amanti di Panegrano. A distanza di giorni dal fatto che era diventato di dominio pubblico, lo stesso Scalise, classificato come Capo banda uccise Antonio nei pressi di Vaccarizzo. A distanza di alcuni giorni, Rosario Scordamaglia, organizzò un banchetto che avrebbe dovuto essere riparatore, proprio nella casa dove viveva Maria Stumpo. Scalise, finito di pranzare, si recò in località Janello, poco distante da Pagliarelle, per smaltire i sollazzi di un pranzo che doveva essere stato davvero ampio. Là fu ucciso da Rosario Scordamaglia e Leonardo Spinelli che conoscendo le abitudini del propriocapo banda erano stati più veloci di lui nel raggiungere la stessa località. Pochi giorni dopo, fu ucciso anche Giuseppe "Piccolo" della stessa banda che avrebbe voluto vendicare la morte di "Panegrano". Ben presto, appresa la notizia della morte di Scalise, arrivarono a Pagliarelle 50 Guardie guidate da don Pietro Antonio Ferrari. La testa del brigante che era stata mozzata da Rosario Scordamaglia fu infilzata su un palo e, in una macabra processione, fu portata a Policastro dove rimase esposta in una gabbia a sua volta collocata su un alto olmo in Corso Giove nei pressi del palazzo "Castagnino" che lungamente ospitò il Liceo scientifico "Raffaele Lombardi Satriani". Il Brigantaggio policastrese che negli anni precedenti aveva registrato momenti di terrore nella Cittadina dell'Alto Marchesato Crononese, almeno nella propria parte più epica, terminò proprio con la morte di Scalise. Basti pensare che sia nel 1806 e 1848 i Francescani del monastero della Sacra Spina decisero di portare la preziosa Reliquia nel palazzo vescovile annesso alla chiesa parrocchiale dell'Annunziata. È datata il 22 gennaio 1849 una lettera indirizzata al sindaco Giovanni Rosa con la quale padre Agostino, Provinciale dei Francescani, chiedeva il rientro dei Frati e della Reliquia nel convento, essendo cessati "i timori dei latitanti, i quali se nutrivano sentimenti perniciosi a danno di qualche claustrale, rispettarlo sempre e venerarono la Sacra Reliquia. Di più, la comunità religiosa, stando fuori dal chiostro, soffriva nella disciplina e negli interessi". Dal punto di vista religioso, la storia della parrocchia di Pagliarelle è stata riconosciuta da Andrea Pesavento spulciando fra i documenti dell' Archivio storico crotonese. Nel territorio dell'Arcidiocesi di Sata Severina, la parrocchia di Pagliarelle fu fondata dal parroco Carmine Grossi, col contributo dell’arcivescovo di Santa Severina Alessandro De Risio (6 maggio 1872 – 30 novembre 1896) e con le elemosine dei fedeli. La cura delle anime rimase alla parrocchia petilina di Santa Maria Maggiore, anche sei suoi sacerdoti raramente facevano visita alla chiesa e ai fedeli. " Il 19 febbraio 1899 gli abitanti di Pagliarelle - scrive Pesavento - inviarono una supplica all’arcivescovo di Santa Severina Nicola Piccirilli. Giuseppe Cavaliere. Carmelo Capelluto, Garofalo Sebastiano, Salvatore Castellano, Perri Giovanni, Marubelli Saverio, Garofalo Antonio, Squillace Angiola, Filippo Capelluto, Garofalo Francesco, Venneri Giovanni, Alessandro Perri, Graloiello Bianco, Perri Alfonso, Stumpo Domenico, Curcio Giuseppe, Garofalo Michele, Sicilia Santo, Perri Francesco, Garofalo Cristina, Francesco Sirianni e Garofalo Domenico, a nome di tutti i Pagliarellari, chiedevano un beneficio ecclesiastico. Essi dichiaravano che Pagliarelle era abitato da più di seicento persone “abbandonate come le belve, lontane dalla religione, e dal culto di Dio non per cattiva volontà ma per mancanza di un prete”, e proseguivano che “è doloroso vedere morire tante persone come bestie, senza gli ultimi conforti di Religione”. Essi chiedevano che “ci proponga un ministro di Dio, almeno che ci tenga la chiesa aperta, e possiamo avere il bene di chiamarci Cristiani. Colui che ci è vorrebbe fare, ma non può per la troppa lontananza e la strada scomoda”. Finalmente, il 10 marzo 1910, il re Vittorio Emanuele III concedeva il Regio Exequatur al Rescritto Pontificio del 10 maggio 1909, col quale veniva imposta una pensione annua perpetua di lire cinquecento dalle rendite della parrocchia di Rocca di Neto, da pagarsi per lire trecento alla Chiesa di Botricello, e per lire duecento alla Chiesa di Pagliarelle, entrambe destinate ad essere erette in parrocchie. In seguito il beneficio alla chiesa di Pagliarelle sarà aumentato dall’arcivescovo di Santa Severina Carmelo Puija (1905 – 1927) a trecento lire. " Divenuta una parrocchia autonoma da quella di Santa Maria Maggiore di Petilia Policastro- continua Pesavento- con Bolla arcivescovile del 24 giugno 1922, placentata al 13 luglio 1923, il beneficio parrocchiale sotto il titolo della Beata Vergine del Carmine in Pagliarelle era concesso nella persona di Angotti Vincenzo, che così diveniva il primo parroco di Pagliarelle. Il venti febbraio 1923 il novello parroco Vincenzo Angotti dichiarava che: “La Chiesa Parrocchiale, costruita dalla carità dei fedeli del luogo, è in pessime condizioni statiche ed ha bisogno di salleriche riparazioni ed è anche sfornita di arredi sacri, i quali si limitano, in 2 camici, 5 pianete di falsa sola, 1 calice, 1 ostensorio, ed una pisside, tutti di metallo. Due cotte, un ombrello per Santissimo, quattro lanterne per Viatico, un crocifisso di ottone, sei candelabri di legno e tre statue, una della Immacolata, l’altra di Sant’Antonio e l’altra della Vergine del Carmine”, inoltre “tanta povertà di arredi, la nessuna possidenza di beni patrimoniali, ed anche la meschinità del sacro edificio provengono dal fatto, che la chiesa da poco tempo è stata elevata a Parrocchia, e che le trecento lire di rendita, vennero stralciate dalle rendite delle due Arcipreture da Rocca di Neto e di Rocca Bernarda”. L'occasione dell'organizzazione del gemellaggio fra Petilia Policastro e Parenti che ho avuto l'onore di organizzare con l' associazione "Nel Cuore Solo Petilia" di cui sono stato presidente mi ha consentito, grazie alla fattiva collaborazione di Angela Miletta ed alla sua contagiosa caparbietà, di raccogliere alcune informazioni sino ad allora inedite intervistando alcuni anziani di Pagliarelle. Le interviste sono partite da Rosaria Garofalo che, oltre ad essere la mamma di Angela Miletta ed una delle donne più anziane di Pagliarelle, apparteneva ad una delle famiglie provenienti a Pagliarelle da Parenti. La "nonnina di Pagliarelle" era nata nel 1924 ed ha a lungo conservato lucidamente i propri ricordi. A sua detta le prime case di Pagliarelle furono costruite nella zona dei "Vartali". I primi apprezzamenti di terra da parte di Parentesi furono acquistati da un boscaiolo del Centro silano, grazie ad un tesoro che aveva trovato nei boschi policastresi di cui, insieme ad un compagno, aveva sentito parlare in una trattoria di Parenti. Questo particolare non è affatto secondario perché evidenzia che i rapporti fra Parenti e la montagna di Policastro erano precedenti alla nascita di Pagliarelle. "Questo boscaiolo - mi ha raccontato Rosaria - era il mio trisavolo Domenico Garofalo, che venduto a poco a poco il tesoro per non farsi scoprire da coloro che l'avevano nascosto, comprò alcuni appezzamenti dove nacquero le prime case del Borgo. A distanza di tempo - continua il racconto di Rosaria - i briganti che avevano nascosto il tesoro, sequestrarono il piccolo Francesco figlio di Domenico avendo saputo che era stato questo a rubar loro il tesoro, che avevano seppellito sotto tre querce. Il ragazzo, dopo qualche giorno dal sequestro, fu abbandonato nudo nel bosco e poté far ritorno a casa con la richiesta della restituzione del tesoro che, almeno in parte, fu restituito ai briganti". Nonostante la restituzione del mal torto, la famiglia Garofalo rimase fra le più agiate di Pagliarelle. Fra i parenti di Rosaria si ricordano Rosa Toscano e Domenica Carvelli che apparteneva alla famiglia policastrse degli " 'Mpippani" fra le prime ad imparentarsi con i Pagliarellari. Rosa Toscano, madre di Rosaria, si era sposata con Nicola Garofalo. Altre informazioni sull'antica Pagliarelle ci sono state raccontate da Giuseppe e Vittorio Garofalo: due fratelli impegnati da più lustri nella ricostruzione delle origini di Pagliarelle. Il loro metodo di ricerca è stato prevalentemente quello della registrazione dei racconti degli anziani, ma le loro memorie hanno comunque un certo valore come quelle di Rosaria; pur non essendo suffragate da studi documentari. Mentre Giuseppe, da tempo emigrato in Francia, collabora con una Associazione di Emigrati calabresi, Vittorio è rimasto a Pagliarelle arrivando, nei ritagli di tempo, a disegnare una mappa della prima Pagliarelle. Da quello che ritengono, i primi abitanti di Pagliarelle arrivarono dai Casali cosentini intorno al 1775 ottenendo dei terreni dal Comune policastrese che li avrebbe autorizzati a svolgersi attività agricole e pastorali. La prima Pagliarelle sarebbe sorta in una zona chiamata "Santa Maria Maggiore" ancora oggi presente nella toponomastica. In questa zona sarebbe, successivamente, sorta via Regina Elena. Proprio intorno a questa strada si diramano, a mo' di ragnatela, i primi vicoli della Frazione. "Per costruire le nuove case - racconta Vittorio - bastava costruire solo tre muri perimetrali, utilizzando come quarto muro quello della casa confinante. Capita così che tutte le case di via Regina Elena sono attaccate una all'altra". Sulla stessa strada era ubicato il primo generi alimentari ed il primo forno di Pagliarelle costruito da un signore proveniente da San Giovanni In Fiore. Giuseppe, in un suo lavoro inedito, aggiunge che via Regina Elena culminava nella piazzetta "Aria" che deve il proprio nome al fatto che era talmente ventilata da venire utilizzata dopo la mietitura per separare il grano dalla pula.Un altro pagliarellaro affatto geloso dei suoi ricordi è stato Fiore Miletta, nato il 12 ottobre 1931 a Pagliarelle; suo nonno ed i suoi primi figli erano nati a Parenti. "Il primo ricordo che conservo - ci ha raccontato - è una specie di sacco che da bambino utilizzavo come abito. Verso il 1935, qualcuno della mia famiglia disse "facìmule i cavuzi a su guagliune", se chiudo gli occhi, addirittura, mi pare di risentire la voce anche se non la collego a nessu volto. Oltre che mio nonno - aggiungeva Fiore - i suoi primi tre figli erano nati a Parenti, tutti gli altri siamo nati qua. Il bisnonno di mia moglie lo chiamavano Nicola 'Mulinaru' perché aveva un mulino". La prima abitazione che Fiore ricorda era vicina alla "porta Destra" dove abitavano alcuni policastresi come i "Rici Rici", i "Piuzzi", i Vallone ed i Nicolazzi. Dai ricordi di Fiore Miletta apprendiamo che all'arrivo della sua famiglia, intorno al 1798, nella zona dove vivevano era tutto o quasi campagna con vari alberi da frutta. "Da bambino - aggiunge - ricordo che c'erano almeno altre due famiglie di Parenti che si erano costruite le loro case con della paglia". Fu Pietro Antonio Madia , Sindaco policastrese fra il 1899 ed il 1902, ad assegnare alla famiglia Fiore un appezzamento di terra. Gli zii di Fiore che erano nati a Parenti si chiamavano Giovanni, Fiore ed Angelo. A Pagliarelle, invece, era nato il padre di Fiore ed i suoi zii Carmine e Paola. "Agata ' Parmetta" - aggiunge Fiore - come mia madre Giovannina Girimondi, erano nate a Parenti ma vivevano a Cotronei. Successivamente mio padre seguì mio zio Angelo ed anche se era analfabeta è diventato Carabiniere. Mio nonno, a Parenti, si chiamava come i figli che vi erano nati Maletta, il nostro cognome fu cambiato in Miletta, probabilmente per un errore di trascrizione, quando arrivammo a Pagliarelle". Fiore Miletta ricorda al tempo della Seconda Guerra Mondiale alcuni briganti che, in realtà, erano dei disertori che per non andare in guerra si erano nascosti nei boschi come latitanti. "Alcuni che lavoravano nei boschi - racconta Fiore - per aiutarli portavano loro dei generi alimentari, nascondendosi sotto il basto degli asini che, però, spesso venivano sequestrati dai Carabinieri. Mio nonno che a Parenti conservava una casa e ci aveva dei parenti ed alcuni interessi - aggiunge - vi si era recato per prendere le conserve di maiale che vi aveva lasciato. Se ne tornava 'crista crista' al lago per non essere fermato dai briganti, ma fu lo stesso fermato da questi. Per non dover lasciare loro la "viertula" , bisaccia tipica dei contadini calabresi, con il suo contenuto ad un brigante che avrebbe voluto rubargliela, gli tirò due colpi col manico dell'accetta e vistolo a terra, credendolo morto, si mise a correre verso Pagliarelle, senza averne notizie e, per diversi giorni, il coraggio di rimettersi in cammino".
Francesco Rizza
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