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Quando la castanicoltura era una fonte di reddito anche nella Sila crotonese.


Quella della castanicoltura potrebbe rappresentare, per la Sila crotonese, un volano economico non secondario ma ai giorni nostri  non è ancora guardata con la dovuta attenzione da quelle Istituzioni che, quanto meno  dovrebbero garantire una viabilità confortevole verso i castagneti che, principalmente a Petilia Policastro, in maggioranza si trovano in uno stato di abbandono proprio per le pessime condizioni delle strade. Nonostante questo, le castagne sono una fonte di economia come, purtroppo,  ha attestato un'indagine della Dia nel 2014 culminata nell'arresto di varie persone che erano riusciti ad imporre il proprio racket sulla loro vendita imponendo il prezzi all'ingrosso ed al dettaglio, con guadagni che superavano le centinaia di migliaia di euro. Finita l'epidemia del Cinipde che negli scorsi anni ha quasi annientato la produzione,  quest'anno i problemi nella produzione sarebbero sorti per la scarsa pioggia degli ultimi mesi, ma se sulla meteorologia si può fare ben poco, se anche il Parco Nazionale della Sila si impegnasse nel miglioramento della viabilità montana e con un'operazione di marketing che potrebbe sostenere i castanicoltori proponendo loro la nascita di qualche cooperativa, come altrove è accaduto o almeno affiancandoli per  il riconoscimento di una denominazione di origine protetta; forse si riuscirebbe a produrre qualche positività.  Pensare che fino agli anni Sessanta del Novecento, almeno a Petilia Policastro,  la castanicoltura produttiva un' importante fonte di reddito e la raccolta iniziava quasi subito dopo la festa della Madonna del Rosario. A catterizzare la raccolta delle castagne è che questa,  in tempi lontani ma non troppo, era una possibilità di reddito prevalentemente al femminile. Di solito, infatti,  erano proprio le donne ad impegnarsi nella raccolta delle castagne;   mentre gli uomini erano impegnati nella prima lavorazione del frutto, attraverso l’affumicatura che erail metodo più diffuso per la conservazione delle castagne.  Quando il percorso fra i castagneti ed il centro abitato non era molto lungo, le donne li raggiungevano quotidianamente, portando sul capo una “sporta” in vimini in cui, oltre agli alimenti per la giornata, portavano gli infanti che non potevano essere lasciati in casa. La partenza verso i castagneti, infatti,  avveniva quando era ancora buio ed il rientro a casa avveniva a sera inoltrata. 
 Quando i castagneti presso i quali occorreva lavorare erano più distanti dal centro abitato, le raccoglitrici risiedevano per più settimane, circa un mese, presso le “Caseddre”: abitazioni rurali che nei boschi silani ospitavano anche dei luoghi dove le castagne, appena raccolte, venivano lavorate. Per Petilia Policastro,  la raccolta delle castagne avveniva subito dopo la festa della Madonna del Rosario. Una delle figure maschili tipiche della lavorazione delle castagne  era quella del “Pastiddraru” col compito era quello di realizzare nella sala a pianterreno della “Caseddra”,  “ ' u cannizzu" che era formato da un insieme : di canne legate fra di loro,  su cui venivano poste le castagne.  In seguito,   attraverso alcune corde, “ ' u cannizzu” veniva sollevato da terra attraverso delle corde e , sotto, veniva acceso del fuoco che col proprio calore ed il proprio fumo consentiva la veloce essiccazione delle castagne. Quando le castagne avevano raggiunto una essiccazione perfetta, per liberarle dalla buccia avveniva la cosiddetta “zuoccolatura”: le castagne venivano poste in alcuni sacchi di juta che,  a loro volta,  venivano battuti con appositi pali sopra " 'u zoccu" : un ceppo di legno. Solitamente, il ceppo veniva incavato per meglio contenere i sacchi con le castagne.  Con questa battitura si ottenevano i “pastiddri”.  Le castagne  che non avevano ottenuto una cottura completa erano chiamati “tennaruni” ed entrambi i prodotti erano parte consistenti dell’ alimentazione. Mentre dai “pastiddri” veniva estratta la farina di castagne; i “tennaruni” oltre che essere mangiati crudi venivano utilizzati nell'alimentazione tipica della Presila. Altre figure tipiche della lavorazione delle castagne erano " 'u Ciucciaru" che aveva il compito di trasportare le castagne raccolte nei boschi alle "caseddre" ed " 'u Caseddraru" che era l'uomo di fiducia del proprietario della "caseddra". Toccava a lui      accordarsi con i proprietari delle castagne, controllare gli operai e fornire loro il legname per l' essiccatura delle castagne. La chiusura della raccolta e lavorazione delle castagne terminava a Pagliarelle con il mese di ottobre. Il 2 novembre,  nello stesso borgo avveniva una festa popolare cui l'intera popolazione partecipava. Poiché il mosto non era ancora diventato vino novello,  per festeggiare il momento di socialità, si gustava "l'acquata" che era un insieme di mosto ed acqua che per quella data era già maturato e poteva essere consumato.
 Francesco Rizza 

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