C'è una nave ferma fra i secolari Pini larici di Camigliatello, nel verde del Parco Nazionale della Sila: è il Museo dell'Emigrazione che, curato da Gian Antonio Stella, è stato realizzato dalla fondazione "Napoli Novantanove" ed inaugurato nel 2005. Ad ospitarlo, in una struttura a forma di nave evocativa dei tanti viaggi dei Calabresi verso l'America, una antica "vaccheria" appositamente restaurata dall'architetto Sila Barracco nel "Parco Old Calabria": fondazione che da anni è impegnata a recuperare la memoria storica, civile e sentimentale della Calabria. "Si vogliono ricordare in questo luogo - evidenzia una brochure - le angosce, le speranze, le insanabili nostalgie, i drammi pubblici e privati di milioni di persone costrette all’espatrio, ma anche la partenza di nuove, straordinarie avventure di persone che hanno rappresentato nel mondo l’intraprendenza italiana, la capacità di rimettere in discussione la propria vita intera, e di costruire ponti dal paese a nuove ed importanti realtà sociali ed economiche. L’emigrazione italiana di massa, fenomeno storicamente concluso e sostanzialmente rimosso dalla coscienza collettiva, è stata oggi sostituita dall’immigrazione di massa verso l’Italia". Il Museo è anche "narrante", perché i visitatori possono visitarlo accompagnati da una voce che racconta le tante storie di dolori, piccoli e grandi, su cui sono state registrate varie canzoni italiane sull'emigrazione, che ricordano quei migranti che eravamo noi Italiani. Al piano superiore del Museo, invece, la sezione "mare madre" è dedicata all'immigrazione marittima e clandestina iniziata sulle coste italiane con l'arrivo nel porto di Bari, l'8 agosto 1991, della nave "Vlora" piena di Migranti albanesi.
"Dall’Unità e fino ai primi anni ’70 del secolo scorso - spiega Giuseppe Di Bartolo, docente di Demografia nell'Unical - l’Italia è stato un Paese profondamente segnato dall’emigrazione. In questo lungo periodo di tempo il fenomeno si è caratterizzato per due ondate migratorie: la prima, composta prevalentemente da spostamenti oltreoceano, si distinse per l’alta intensità (ricordiamo che gli espatri dal 1876 al 1915 furono 14 milioni). La seconda, che si realizza a partire dalla metà degli anni ’50, si è distinta per una intensità più contenuta, con prevalenza dei flussi in direzione dell’Europa. Questo lungo processo di mobilità - aggiunge il Docente - ci ha consegnato uno stock di italiani residenti all’Estero rilevante sia dal punto di vista numerico che sociale ed economico, la cui conoscenza qualitativa e quantitativa resta ancora parziale, perché le fonti statistiche di riferimento sono lacunose e molto disomogenee fra di loro". Dai dati statistici di oggi, si apprende che negli ultimi anni i Cittadini italiani che si sono iscritti all’Aire per espatrio, sono aumentati da 94.126 a 128.193 unità, con un incremento del 36,2% in cinque anni. I Cittadini stranieri residenti in Calabria rappresentano il 5,1% della popolazione complessiva, secondo i dati dell'Istat. Al dicembre del 2022, la percentuale di stranieri in Calabria è inferiore alla media nazionale ed è pari ad una percentuale dell'8,6%. Le province di Cosenza e Reggio Calabria contano il numero più alto di migranti regolari, rispettivamente 33.558 e 28.883. Relativamente al 2022, Giuseppe Di Bartolo osserva, partendo dai dati del Ministero degli Interni, che "i migranti accolti in Calabria sono stati 5.287, il 4,4% del totale nazionale. I dati del Ministero indicano, inoltre, che i cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Calabria al 31 dicembre 2022 sono 51.250 e provengono in prevalenza dal continente africano. Riguardo all’origine degli stranieri, i Paesi più rappresentati sono Marocco, Ucraina, India, Cina, Filippine e Albania, entrambi con poco più di 2 mila titolari di permesso di soggiorno".
Comunque, la comunità straniera più numerosa in Calabria è quella rumena con il 27,81% degli stranieri presenti, seguita da quella proveniente dal Marocco 16,47% e da quella proveniente dall’Ucraina 6,15%. Le fasce d’età più rappresentate tra gli stranieri sono quella dei 30-39 anni (22,4 %) e 40-49 anni (19,6 %). Quelli di età inferiore a 18 anni sono il 18,89%. Gli ultra 65enni sono 3.740 (4,02%). I residenti extra-UE sono il 61.29% del totale dei residenti stranieri), in maggior parte uomini (56.97%). L'incidenza di tale fascia sul totale dei residenti in Regione è pari al 3,06%. Per quanto riguarda la distribuzione degli stranieri extra-UE nei territori delle cinque province calabresi, la Provincia metropolitana di Reggio Calabria ne ha il maggior numero: 19.270 presenze, seguita dalle province di Cosenza, Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia. I cittadini extra-UE residenti in Calabria provengono in prevalenza da Africa con una percentuale del 46,07%, Asia con una percentuale pari al 29,91% ed Europa con una percentuale pari al 19,66%.
Oltre che un fatto sociologico, l'emigrazione ha anche un aspetto antropologico. Lo spiega approfonditamente Vito Teti, docente di Antropologia Culturale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università della Calabria, dove ha fondato e dirige il "Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo" presso il dipartimento di Filologia. Intervistato da Maria Teresa Galati in "Conquiste del Lavoro" (25 maggio 2012) relativa al libro " Pietre di pane. Un'antropologia del restare" edito da "Quodlibet", Vito Teti ricorda come "Pietre di pane è un espressione che adopera Corrado Alvaro, lo scrittore calabrese di spessore europeo che, in una nota di viaggio, parlando delle fiumare fa l’accostamento tra le pietre e le forme del pane, le pietre che assomigliano al pane ed il pane che a volte s'indurisce come la pietra. Il pane è elevato a simbolo del bene primario, della necessità, ma anche della sacralità del “mangiare”. Il pane era un alimento base e aveva anche valenze rituali e religiose. Per la pietra c' è un riferimento alla durezza, all'asprezza, alla fatica, e nello stesso tempo c'è un riferimento al radicamento, alla solidità, all'idea della potenza del restare. In un altro passaggio dell'intervista, Vito Teti osserva come "l'uomo della società tradizionale è stato descritto da Alvaro come un uomo in fuga. L'erranza è la condizione dell'uomo della società tradizionale del Sud. Già da molto tempo avevo segnalato che l'emigrazione non è soltanto una condizione di chi parte ma anche di chi resta. Esiste una ricca letteratura - aggiungengeva l'Antropologo - sul rapporto tra partiti e rimasti, spesso visti in contrasto tra di loro. Partire e restare sono, in realtà, due dimensioni, due condizioni, due verbi inseparabili, l'uno presuppone l'altro. Paradossalmente, oggi, che l'emigrazione tradizionale è finita e noi facciamo i conti con l'immigrazione, suggerisco che forse restare è quasi più faticoso del partire di una volta, perché chi resta sperimenta la condizione della solitudine, dell'incomprensione, dello straniero in patria, perché intanto il paese è cambiato".
Avendo subìto e subendo anche noi tante partenze e tante assenze, come non capire i profughi che arrivano sulle nostre spiagge? Come chiudere loro le nostre porte? Spiegando il neologismo della "restanza", Vito Teti evidenzia invece che "chi resta vive l’inedita esperienza dei paesi che si sono spopolati, dissolti, sono a rischio estinzione: un grande problema per chi è rimasto ma anche per chi è partito. In qualche modo " Pietre di Pane" è giocato su questa ambivalenza, sulla sofferenza di chi resta e di chi parte, di chi torna ed è poi costretto a ripartire. Ho un idea dell’identità mobile, dinamica, aperta, che in qualche modo riguarda sia chi è rimasto che chi è partito" ed aggiunge che "restanza non è un fatto di pigrizia, di debolezza : dev'essere considerato un fatto di coraggio". Per Vito Teti, "una volta c'era il sacrificio dell'emigrante e adesso c'è il sacrificio di chi resta. Una novità rispetto al passato, perché una volta si partiva per necessità ma c'era anche una tendenza a fuggire da un ambiente considerato ostile, chiuso, senza opportunità". Ciò è anche vero per il Marchesato crotonese, di cui Cutro è una delle cittadine più grandi: un territorio precisamente connotato nella Calabria mediana fra il medio Jonio e l’ Altopiano silano con una antica e prestigiosa storia alle spalle. Il suo antico territorio coincide con l'attuale provincia di Crotone, istituita nel 1992 e comprendente 27 Comuni. Secondo il censimento Istat, al 31 maggio 2019 il Marchesato di Crotone contava 174.641 abitanti con una popolazione che non superava i 40 abitanti per chilometro quadrati nei limiti più ampi, e 30 in quelli più ristretti, ma pure in seguito lo spopolamento è continuato, con percentuali devastanti. Due Comuni dello stesso territorio, Caccuri e Santa Severina, sono stati inseriti nell’elenco nazionale dei “Borghi Più Belli”, ma le bellezze del territorio comprendente pure una porzione del Parco Nazionale della Sila, da sole, non riescono a produrre reddito. Sfumate per varie motivazioni le positività della riforma agraria che seguì ai "Fatti di Melissa" dell' ottobre del 1949 mettendo fine al secolare Latifondismo, fallito anche il sogno dell'industrializzazione con la chiusura del Polo chimico che produsse una vivace manifestazione popolare di protesta nel settembre 1993, ancora oggi, il Crotonese continua a registrare un feroce spopolamento sotto gli occhi di tutti. In questo territorio, i migranti potrebbero rappresentare una risorsa ma, il più delle volte, sono guardati con sospetto da un ampia percentuale della popolazione; compresi alcuni che, nei lustri scorsi, erano stai emigrati. In agricoltura, a sentire le statistiche, la manodopera straniera per lo più africana è quella che manda avanti aziende che, a livello nazionale, producono almeno il 15% del prodotto interno lordo.
Ambientato nel secondo dopoguerra e pubblicato nel 1972 "Noi Lazaroni", romanzo fra i più noti di Saverio Stati, ancora oggi ha il pregio di descrivere una Calabria che, ad oltre 50 anni, è cambiata poco. In questo mezzo secolo, anche l'emigrazione calabrese è cambiata poco, nel senso che quella di oggi non è solo di "braccia", ma principalmente di "cervelli". Emblematico uno dei monologhi di Salvatore, il personaggio principale, che insieme a tutto il romanzo ha la forza di far riflettere su un tempo in cui, piu di oggi, i migranti eravamo noi. "Anche in Calabria - racconta - la povertà estrema ha ceduto il posto ad un crescita di consumi: sulle tavole quotidiane è apparsa la carne di vitello. L’ambiente, pur con qualche modifica, resta chiuso e non si vede un effettivo sviluppo economico e sociale: dicono che non ci sono più caprai nell’Aspromonte. Sono scomparsi perfino i vaccari che aravano i campi; né fabbri ci sono che costruiscono vomeri. Non ci sono sarti né calzolai. Tutti hanno preso il volo. (…) Non mi ci adatterei più a quest’ambiente. Desidero tornare a casa, da mia moglie e dai miei figli. Dagli amici di Baden, dagli amici della Militarstrasse. Da lassù ci sfugge il vero dramma della nostra terra abbandonata e imbruttita. Da lassù non avvertiamo l’agonia dei villaggi, dei nostri vecchi. A chi arriva dal verde, dal tutto ordinato e pulito e lindo e operoso, salta all’occhio questa specie di preludio al deserto che è diventata la costa che si affaccia sullo Ionio". Perennemente a metà strada tra "il non più"; ed "il non ancora", la Calabria che si confronta oggi con i migranti aspetta il proprio riscatto.
Francesco Rizza
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